Partecipazione. “Sia più per fare che per decidere”, esperti universitari a raccolta sul pdl di riforma della legge/ foto

In commissione Bilancio Gelli (Venezia) invita a guardare alla Toscana, Lewanski (Bologna) critico sui gruppi organizzati “più forti” del singolo cittadino. Forze politiche divise su efficacia strumento. Il relatore Torri tranquillo: “Otterremo buoni risultati”

02/10/2018 17:50

Esperti a raccolta sul progetto di legge per la partecipazione. Rodolfo Lewanski dell’Università di Bologna e Francesca Gelli dell’Università di Venezia sono stati scelti dai due relatori del pdl, Yuri Torri (maggioranza) e Andrea Bertani (opposizione), per un confronto in commissione Bilancio, presieduta da Massimiliano Pompignoli.

Si parte da un presupposto: “La democrazia è in affanno, non solo in Italia”. E Lewanski si chiede se “le élite politiche siano in grado di cogliere la gravità della crisi e dare risposte”. E pone alcuni dubbi sulla legge per la partecipazione dell’Emilia-Romagna: “Incide in modo superficiale e tocca piccoli gruppi di cittadini. Se ciò che offriamo loro è di decidere dove mettere le panchine nei parchi, non ha molta influenza”. Altra questione sollevata dal docente bolognese è: “Chi partecipa? O i soliti cittadini volenterosi, che però rappresentano solo loro stessi, o chi è toccato direttamente, o le associazioni. Nella legge emiliana si parla di cittadini singoli o associati, ma si vìola il principio dell’uguaglianza, perché è evidente che un gruppo è più forte e ha più risorse di un cittadino singolo”.

Porta l’esempio della Toscana, la professoressa Gelli, dove “i progetti partecipativi prima toccavano i temi dove meglio si poteva attuare la partecipazione, come i bilanci partecipativi, la partecipazione nelle scuole e la rigenerazione urbana. Successivamente i progetti presentati esprimevano un modello di partecipazione che è la partecipazione per fare, non più per decidere”.

Un tema, quello della partecipazione, che sta a cuore a Gianluca Sassi del gruppo Misto, che viene da “quattro giorni di focus a Roma sulla democrazia diretta. Fondamentale – dice – è essere chiari nella comunicazione con i cittadini sugli obiettivi, perché se l’obiettivo viene disatteso, la voglia di partecipazione dei cittadini cala. Non so se questa legge porterà risultati, ma credo che la democrazia, per come è oggi, ha necessità di evolversi”.

A sollevare perplessità è Massimo Iotti (Partito democratico): “Molte delle cose che ho sentito dagli esperti non le condivido e visto che ho sottoscritto il pdl, se ci saranno modifiche chiedo di togliere la mia firma. Si è parlato molto di innovazione ma non si è parlato di proposte innovative”. Da parte sua, Giuseppe Boschini (Pd) spiega come questo sarebbe stato un “dibattito corretto se fossimo stati ancora in fase embrionale, ma ormai è tardivo. Siamo tutti consapevoli che la democrazia partecipativa è a una svolta. Ma pur essendo consapevoli della difficoltà della democrazia, nessuno di noi è arroccato dentro la cittadella”.

Igor Taruffi (Sinistra italiana) cerca di riportare la pace e sottolinea come “chiamare persone che ci dicono che facciamo sempre bene significa non toccare l’argomento in modo critico, aspetto invece fondamentale”. E spiega come “con questa legge stiamo facendo un passo avanti rispetto alla precedente norma”. E Silvia Prodi (Misto-Mdp) spiega come la “sfiducia collettiva verso le istituzioni può esserci anche perché sono venute a mancare le circoscrizioni, le Province e anche il finanziamento pubblico ai partiti: c’è una mancanza di rappresentanza organizzata”. Da qui, è utile una legge sulla partecipazione.

Per Andrea Bertani (M5s) “muoversi verso strumenti di democrazia partecipativa e diretta aiuta a rafforzare il patto sociale, che altrimenti rischia di sgretolarsi. Ognuno poi farà le sue valutazioni e deciderà se questo strumento potrà più o meno ottenere risultati”. E Yuri Torri (Si) è ottimista: “Sono sicuro che si potranno ottenere buoni risultati”.

(Margherita Giacchi)

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