Dove sono finite le parole della Primavera Araba?

Intervista a tre attivisti-reporter della Primavera Araba: Kais Zriba, Gamal Eid e Omar Radi

tre attivistiI loro nomi possono essere sconosciuti alla stampa italiana, ma non al mondo del web. Loro sono Kais Zriba, Gamal Eid e Omar Radi: tre blogger e attivisti provenienti da tre paesi diversi del Sud del Mediterraneo, Tunisia, Egitto e Marocco. Ognuno gestisce un blog o un portale, ognuno ha una storia differente da raccontare, ma ciò che li accomuna è il fatto che tutti e tre hanno partecipato attivamente alla Primavera Araba, i movimenti di protesta scoppiati negli ultimi tre anni che hanno colpito i loro paesi.

Questo mese i giornalisti sono stati in visita a Bologna grazie ai progetti “Mare Nostrum”, “Che Mediterraneo Sia” e “Liasion”, co-finanziati dalla Regione Emilia-Romagna in collaborazione con le Ong Cefa, Cospe, Nexus e AiBi. I progetti nascono per sostenere dal punto di vista lavorativo le giovani generazioni del Sud del Mediterraneo, promuovere l’imprenditorialità delle donne e stimolare le pratiche di cittadinanza attiva rafforzando le micro-attività economiche e imprese sociali di tutti e tre i paesi.
I tre attivisti hanno così anche colto l’occasione per parlarci della loro Primavera araba e del loro ruolo di giornalisti all’interno del movimento.

Kais Zriba e la Tunisia- Si può dire che nel 2010 tutto ha avuto inizio proprio in Tunisia quando il gesto disperato dell’ambulante Mohamed Bouazizi che si diede fuoco, innescò una serie di proteste e sommosse di giovani disoccupati e studenti contro il regime di Ben Ali, che nell’anno successivo fu costretto a dimettersi. Attualmente la situazione politica e sociale del paese è ancora particolarmente tesa: il governo in carica, islamista moderato, non riesce a fronteggiare i numerosi scontri tra i partiti di opposizione che accusano alcuni gruppi islamisti di violenze.
Kais Zriba è un reporter tunisino che scrive per il portale Nawaat – dal sottotitolo significativo “il portale che non odia i media, ma è il media”- ha fondato un blog di citizen journalism, ed è il primo a cui chiedere che tipo di rivoluzione sia stata quella della Primavera araba e se è vero che i media e in particolare i social network abbiano avuto un ruolo determinante.
Sicuramente le nuove tecnologie hanno avuto un ruolo importante ma credo che parlare di rivoluzione 2.0 sia davvero esagerato. L’utilizzo dei social network è stato un modo per fare della contro-informazione, per ribellarsi al monopolio dei media di Ben Ali, una sorta di resistenza contro le menzogne del regime e un modo per informare la gente sia fuori che dentro al paese su quello che succedeva davvero. La censura di Ben Ali ha nel tempo creato una grande distanza tra lo spazio percepito e quello vissuto in Tunisia, come è scritto nel libro “La rivolta dei dittatori” della mia amica Wejdan Majerie, e i social network hanno aiutato la gente a capirlo. In realtà la vera battaglia è stata combattuta per le strade, ed è stata una battaglia che ha causato la morte di 300 vittime in meno di un mese. Quindi sì, i social network sono stati un mezzo, ma solo quello: non c’è nessun tasto magico sul computer che se premuto faccia scomparire la dittatura!
Dopo la caduta del regime di Ben Ali, si può dire, secondo Kais, che la battaglia contro la censura sia stata vinta, nonostante anche nel mese scorso ci siano stati degli arresti di alcuni artisti e musicisti da parte della polizia che non gradiva alcuni loro testi.
A mio avviso adesso la battaglia da combattere è un’altra, ovvero quella dell’accesso all’informazione, specialmente in un periodo di transizione come questo. Ci sono dei buoni esempi per far sapere al popolo cosa succede esattamente nella scena del dibattito nazionale, come la campagna per l’elezione dell’assemblea costituente, ma c’è ancora molto da fare.”

Gamal Eid e l’Egitto- Gamal Eid ci racconta invece del suo paese, l’Egitto, dove le rivolte popolari contro il rais Hosni Mubarak scoppiate nel gennaio 2011, hanno portato all’elezione di Mohamed Morsi, arrestato e destituito con un colpo di stato a luglio di quest’anno. Come spiega Gamal, che è un avvocato e presidente di Anhri Arab, un network per i diritti umani, il paese è suddiviso in due schieramenti : c’è chi sostiene Morsi e i militari, e poi c’è una grande parte della popolazione che si batte per la libertà e democrazia, una democrazia tanto annunciata ma che ancora non è arrivata. Gamal, che, durante il regime di Mubarak è stato arrestato e torturato più volte, ribadisce: “I diritti umani devono tornare al centro dell’attenzione, bisogna lottare affinché vengano riconosciuti non solo dalla politica ma anche dai media europei. Prima della rivoluzione avevamo problemi perché i governi occidentali accettavano la dittatura che c’era da noi. Il governo francese e quello italiano sono stati tra i principali sostenitori della nostra dittatura. Ma è ora, dopo la rivoluzione, che abbiamo più che mai bisogno che si parli della nostra lotta per la democrazia!”.

Omar Radi e il Marocco- Anche il Marocco, sull’onda della Primavera araba, nel 2011 è stato scenario di numerose proteste e scontri, tali da portare il re ancora in carica, Mohammed VI, a promettere al paese riforme costituzionali e sociali che garantiscano maggiori libertà.
Tuttavia, come spiega Omar Radi, attivista del cosiddetto Movimento del 20 febbraio e giornalista “indipendente” (come scritto sul suo biglietto da visita) per numerose testate tra cui Tel Quel, “la censura in Marocco esiste seppure in forme diverse. Questo perché la maggiore risorsa dei media è la pubblicità che da noi è gestita da grandi aziende concentrate nelle mani del re. Quindi se dici no o sei minimamente critico nei loro confronti, loro smettono di finanziarti e tu chiudi. Il risultato è che così tutti i giornali e le riviste presentano lo stesso punto di vista, con notizie tutte uguali.”
In questo senso Internet può costituire un’alternativa, anche economica: molti giornali, come racconta Omar, hanno chiuso nella versione cartacea e riaperto con siti online.
Il 70% dei visitatori di questi siti sono marocchini all’estero, il che dà indipendenza economica perché chi fa pubblicità e finanzia il sito è all’estero quindi non li censurerà”.
Tuttavia, così come in Tunisia, ci sono stati degli arresti.
Ali Anouzla, il direttore del giornale online Lakome, è ora in carcere e rischia 20 anni di prigione perché accusato di aver aiutato terroristi. E ci sono altri casi come questo: qui le persone come in Tunisia e ed Egitto si autocensurano per evitare la prigione, e preferiscono parlare del meteo etc, piuttosto che dei veri problemi”.

L’Italia e la Primavera Araba- E la stampa italiana? Qual è l’idea che questi giornalisti del mondo arabo si sono fatti riguardo la rappresentazione della Primavera araba in Italia?
Kais è possibilista, anche se abbastanza critico:“Ci sono dei giornalisti che hanno seguito la questione della donna in Tunisia, la questione della libertà di espressione, ma io trovo personalmente che nell’ultimo periodo non ci sia stata nessuna buona copertura riguardo il tema della crisi politica e produttiva. Ci sono degli italiani che abitano in Tunisia che cercano di spiegare esattamente che cosa succede in Tunisia, all’interno dei movimenti sociali, sul lavoro della società civile, ma ci sarebbe ancora molto da dire”.

L’avvocato Gamal insiste invece sull’importanza del ruolo dei media italiani ed europei nella battaglia per la democrazia: “So che la stampa italiana come la stampa europea ha parlato molto della rivoluzione, specialmente per quanto riguarda l’Egitto. Ma per noi, il tempo giusto per parlarne è ora, a fianco delle persone che lottano per la democrazia. Quello che chiediamo alla stampa italiana è di cercare le fonti giuste per le proprie informazioni e diffonderle affinché le voci del popolo non scompaiano.

Più aperto al confronto è Omar che ammette: “Non sono realmente consapevole di quello che faccia la stampa italiana, ma al festival dell’Internazionale a Ferrara, (ndr: Omar Radi, insieme a Kais e Gamal, era tra i relatori invitati), c’erano diversi giornalisti interessati a questo tema. Alcuni criticavano l’Italia per non essere in generale molto interessata ai paesi del sud Mediterraneo, ma questi paesi non sono a loro volta interessati a quello che succede in Italia. Credo che dipenda da fattori linguistici ma anche dal fatto che non abbiamo molti punti in comune. Io, ad esempio, cosa so dell’Italia? Dalla stampa marocchina ho saputo quando Berlusconi ha avuto a che fare con quella ragazza marocchina, è quello l’unico caso italiano di cui si è occupata e interessata la stampa marocchina”.

Ma, d’altronde, c’è paese e paese nel quale si può essere giornalisti e Omar parla per il suo : “La missione del giornalista in Marocco è rispondere alla vera questione: chi prende il potere e cosa fa con quel potere. Questa è la nostra missione ma sono in pochi a crederci. Così quei pochi vivono e lavorano sotto minacce costanti”.
E come ammette Kais: “Ci resta ancora molto lavoro da fare, la battaglia per il diritto all’informazione è sempre in cammino, ma il percorso è ancora lungo.”


Francesca Mezzadri

intervista a cura di Francesca Mezzadri e Giulia Guietti

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