Il rapporto RWB sui giornalisti uccisi nel 2014: meno morti ma più sequestri "plateali"

09.01.2015

Il rapporto RWB sui giornalisti uccisi nel 2014: meno morti ma più sequestri

Il rapporto RWB 2014- Sono 66 i giornalisti uccisi per il loro lavoro nel 2014 – anno appena trascorso- anche se l’alba del nuovo 2015 non sembra promettere bene, dopo l’attentato alla sede del giornale francese Charlie Hebdo, dove 8 giornalisti sono stati uccisi.  Ai 66 professionisti dell'informazioni uccisi, vanno anche aggiunti 19 “citizen journalist” ovvero blogger e reporter non professionisti e 11 operatori dei media.

Secondo il rapporto di RWB nel 2014 il numero di morti è diminuito (nel 2013 erano 71) ma i rapimenti sono aumentati. Non solo: anche le misure di restrizione alla libertà di stampa sono aumentate e non pensiamo che tutto questo avvenga solo in paesi lontani dall’Europa. La vicina Ucraina, che nel 2014 è stata teatro di scontro tra secessionisti e truppe regolari, ha sferrato numerosi attacchi ai giornalisti, così come in Russia sono appena state approvate da Putin una serie di riforme repressive che limitano le partecipazioni straniere nei mezzi di informazione e obbligano gli account dei social network più seguiti a “registrarsi alle autorità”.  

I giornalisti uccisi nel 2014- E se tra le 66 vittime, le prime a venire in mente sono gli americani Foley e Sotloff, rapiti in Siria e uccisi dai jihadisti dell’Isis, non bisogna dimenticare anche altre vittime, giornalisti locali, spesso musulmani, che con ogni probabilità avranno cercato di difendere i diritti alle libertà contro dittatori e terroristi estremisti.
Vittime come Raad Azaoui, operatore dell’emittente televisiva Sama Salah Aldeen, decapitato a Samarra insieme ad altri civili perché si rifiutava di cooperare con lo Stato islamico, o come Raif Badawi, blogger e giornalista arabo che è stato condannato a 10 anni di carcere e 1000 frustate (che verranno eseguite con scadenza settimanale, 50 alla volta, nella piazza pubblica della città) per aver offeso l’Islam (Amnesty International Italia sta organizzando in questi giorni sit in per la sua liberazione, a Roma).
Le zone di guerra come la Siria (con 15 giornalisti uccisi) e la Palestina (con 7) sono i paesi che mietono più vittime, insieme all’Ucraina con 6 giornalisti uccisi. Inoltre quest’ultimo paese è anche al vertice di un’altra triste classifica: quella dei rapimenti.

Rapimenti e violenza in aumento- Nel 2014, come emerge dal rapporto è infatti cambiata la modalità di “attacco” ai professionisti dell’informazione: più sequestri (ben 119 contro gli 83 del 2013) fatti spesso appositamente per mettere in scena uccisioni plateali a scopo propagandistico. Maggiore violenza dunque nei confronti della libertà di stampa con giornalisti uccisi platealmente davanti al pubblico (inteso come piazze di paesi o città o pubblici virtuali del web) come se lo stesso diritto fosse condannato. E non  si tratta solo di Foley o Sotloff: i giornalisti rapiti nel 2014 sono nel 90% dei casi giornalisti locali, contro il 10% di stranieri. 33 rapiti in Ucraina, 29 in Libia, 27 in Siria, 20 in Iraq, 3 in Messico. Bersagli più semplici per i terroristi, ma altrettanto efficaci per pubbliche esecuzioni dimostrative.

I paesi più pericolosi - Secondo il rapporto le zone più pericolose per un giornalista sono i territori controllati dallo Stato islamico (al confine tra Iraq e Siria); la zona orientale della Libia dove addirittura nel 2014 hanno sparato per strada a tre cameraman – il più giovane aveva 18 anni; la poverissima regione del Balochistan in Pakistan dove le bombe dei Talebani si incrociano con gli spari tra i secessionisti e l’esercito; l’Ucraina; e la regione dell’Antioquia in Colombia dove dilaga la corruzione e i gruppi paramilitari e il crimine organizzato, con la complicità di alcuni pubblici ufficiali, seminano il terrore .   

Non solo zone di guerra, non solo uomini- Anche le cosiddette zone di pace denunciano vittime come l’India e le Filippine. E, anche se il 90% delle vittime sono uomini, le donne giornaliste uccise sono duplicate rispetto allo scorso anno: da 3 a 6 morte nella Repubblica Centrale dell’Africa, Iraq, Egitto, Afghanistan e Filippine e una blogger rapita e uccisa in Messico.

Tra le donne vittime di persecuzione, non bisogna dimenticare Khadija Ismaïlova, che dopo aver denunciato la corruzione nel suo paese, l'Azerbaigian, è stata arrestata, accusata di aver spinto al suicidio un suo collega. Rischia 6 anni di carcere, così come la giornalista cinese Gao Yu, vincitrice dell’Unesco’s World Press Freedom, che, dopo averne già scontati 7, ne rischia altri 15, colpevole di aver rivelato segreti di Stato.

E la Cina è invece il paese nel mondo che detiene il record per il numero di giornalisti imprigionati che nel 2014 sono ben 178: 29 dei quali in Cina, 28 in Eritrea, 19 in Iran.

Le minacce- Il rapporto RWB del 2014 si conclude con la stima di 1.846 giornalisti minacciati e attaccati: soprattutto in Ucraina, in Venezuela a seguito di numerose manifestazioni soffocate dalla Guardia Nazionale, e in Turchia dopo le proteste del Gezi Park.

Ma ancora non sono finite le minacce nei confronti dei giornalisti: minacce che come abbiamo visto all’inizio di quest’anno si sono trasformate in realtà con quella violenza plateale che già aveva caratterizzato il 2014. Teniamoci strette le nostre libertà, così duramente conquistate, e continuiamo a difenderle: non sono scontate.

Francesca Mezzadri

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