Educare dentro (e fuori) il carcere. Intervista a Paola Ziccone

Intervista a Paola Ziccone, direttrice dell'istituto penale minorile di Bologna

Installazione Io sono quiIn questi mesi il carcere è sull’agenda dei media. Si parla di sovraffollamento, di pubblica sicurezza, di celle, di indulto, di problemi di gestione. I giornali confrontano numeri e percentuali, il telegiornale mostra sbarre e ambienti cupi. Però si parla poco di chi ci sta dentro: i detenuti, le persone che devono scontare la pena. L’unica cosa che si sa è che stanno stretti (e che se ci stanno, comunque un motivo ci sarà, no?). Le voci dell’opinione pubblica sono pressoché unanimi: “E’ un problema loro, non mio!” “Potevano anche non commettere reati!”. Noi allora abbiamo chiesto a Paola Ziccone, direttrice dell’Istituto Penale Minorile di Bologna “Pietro Siciliani”, uno dei 12 in Italia e l’unico della nostra Regione e del gran parte del Nord, quello che ha sede al Pratello, quello “famoso” per i suoi spettacoli teatrali, di parlarci del carcere che dirige.

E lei per prima ci ha parlato di loro, dei ragazzi rinchiusi. E del loro rapporto con il resto del mondo.

PZ: Sono ragazzi come tutti gli altri. Noi cerchiamo con le nostre attività, rivolte anche all’esterno, di far vedere a tutti quelli che stanno fuori, specie ai più giovani, che l’ istituzione è utile anche a loro. Il carcere non è solo un luogo che chiede aiuto alla comunità in termini più o meno caritatevoli, è un luogo significativo. Il territorio dovrebbe capirlo e anche la scuola. Qui paradossalmente c’è più attenzione al ragazzo che fuori. Io tutti i giorni mi sforzo di fare una riflessione su che cosa sia l’educazione.

L’IPM di Bologna è nel centro della città. In un ex convento dove attualmente sono ospitati circa una ventina di ragazzi. Possono rimanere lì fino al 21°anno di età: dopo, dovranno scontare la loro pena in un carcere per adulti. Si tratta di ragazzi stranieri e italiani. In un’intervista di due anni fa la stessa Paola Ziccone smontava il falso mito degli stranieri che delinquono più degli italiani, sostenendo che nel carcere c’erano forse più ragazzi stranieri che italiani ma per reati molto meno gravi.
E ora, come è la situazione rispetto agli scorsi anni?

PZ: Negli ultimi anni si è verificato un mutamento dell’utenza: dal punto di vista dell’età ci sono molti più ragazzi sopra ai 18 anni. E poi è anche cambiata tipologia. E’ interessante notare come il fenomeno di minori non accompagnati sia diminuito e siano ormai emerse le cosiddette seconde generazioni: ragazzi che hanno cognomi stranieri, ma, o sono nati in Italia, o sono venuti qui da piccoli.
Dobbiamo metterci in testa che questi ragazzi non vanno più tanto considerati stranieri, ma italiani. Certo, con una sfera di scarsa integrazione su cui ci sarebbe molto da discutere, ma sempre con reati meno gravi rispetto ad altri provenienti da famiglie italiane. Non si parla più di ragazzi che arrivano e fanno micro delinquenza perché presi dalle mafie, ma di famiglie di stranieri con figli, a volte con lavoro stabile, che noi italiani continuiamo a lasciare ai margini e che poi arrivano a delinquere.
E poi, alcuni ragazzi come loro, vengono chiusi in carcere più facilmente e questo perché non hanno un supporto familiare adatto a svolgere percorsi educativi da casa.

Ci sono molte polemiche sul carcere in questi mesi… Qual è la situazione del carcere minorile a Bologna oggi?
E’ così difficile come per le altre carceri per adulti?

PZ: La situazione di quest’anno in quest’istituto sfugge alla media delle carceri per adulti, ma in generale il settore minorile è in situazioni diverse perché l’utenza è molto inferiore numericamente. Tuttavia anche qui si risente tantissimo a livello nazionale dei tagli. Una volta c’erano più risorse per tutti gli investimenti che riguardavano sia le attività che il personale.
E questo è particolarmente delicato in un carcere minorile dove le attività non sono rivolte alla “ri-educazione” ma alla “educazione”. Senza attività educative, che sono quelle che hanno risentito maggiormente dei tagli, si svuota totalmente il significato della pena per come è intesa in Italia. Si tratta quindi di una sorta di ribaltamento anche dei principi costituzionali che in Italia è in atto da diversi anni. E’ un processo per cui si va avanti ogni anno con tagli del 20% all’anno arrivando a dei livelli che potete immaginare quali siano.

Nonostante questi tagli, la struttura esiste ancora. Anzi: è una delle migliori del sistema detentivo italiano con numerosi laboratori informatici, di cucina, teatrali e attività che si aprono e aprono, appunto, anche all’esterno. Tuttavia, come spiega la direttrice, quest’anno la Regione Emilia-Romagna non ha ancora proceduto a mettere in pratica quello che sembra emergere dalle intenzioni e cioè quello di considerare l’Istituto come “regionale” e quindi farsene carico con un finanziamento diverso, e così l’IPM finanzia le sue attività soprattutto grazie ai fondi della Provincia che saranno sufficienti almeno fino all’anno prossimo.
E meno male, perché nel carcere del Pratello i ragazzi sono molto attivi..
Come si svolge la loro giornata?

PZ: Si inizia la mattina e si va avanti fino al pomeriggio per 8 ore tra scuole e formazione professionale. La formazione professionale è riservata soprattutto ai ragazzi più grandi con pene detentive maggiori, la scuola per i ragazzi con problemi di alfabetizzazione e scolarizzazione.
In breve: i corsi di formazione professionale sono due. “Provarci gusto” è quello di ristorazione. Gestito dall’ente Fomal, il corso rilascia attestati di cuoco che possono essere spesi fuori. Il laboratorio permette un´attività formativa di diversi anni a più ragazzi che così, una volta usciti, potranno più facilmente trovare lavori di questo tipo. E’ un laboratorio bellissimo, finanziato con i contributi della Fondazione Del Monte, che ha avuto molto successo.
Il secondo corso è invece nato dalla collaborazione con la scuola edile ed è attivo già da diversi anni: si tratta di attività di scenotecnica, edilizia, carpenteria teatrale che sfociano anch’esse in riconoscimento ma che soprattutto consentono di fare il famoso spettacolo teatrale della “Compagnia del Pratello” in piedi da 10 anni. Uno spettacolo conosciuto in tutta Italia, un’esperienza straordinaria che ha avuto anche il riconoscimento dal Ministero della Gioventù. Per me è molto bello e utile perché i ragazzi non solo fanno lo spettacolo, ma per i 6 mesi precedenti, lavorano sulle scenografie.

E poi ci sono tutte le attività creative e laboratoriali: il giornalino dell’istituto, il laboratorio di scrittura, i laboratori manuali. Si tratta di attività utili soprattutto nel momento dell’accoglienza che consentono al ragazzo di integrarsi e all’Istituto di osservarlo e capire come comportarsi con lui.
Però sicuramente uno dei momenti formativi più importante è quando il carcere apre le porte verso l’esterno...

PZ: Far entrare il più possibile l’esterno è uno dei miei chiodi fissi: e lo facciamo attraverso varie strade. Il sabato e la domenica sono le giornate dedicate alle attività con il volontariato. Collaboriamo con UVa PAssa, che si è costituita qui come associazione. Si tratta di un’esperienza importante: a volte i volontari vengono qua per una settimana a fare campi di specializzazione.
Poi collaboriamo con le scuole: con la scuola di Casalecchio facciamo percorsi con gli studenti, spettacoli, ci sono rapporti epistolari tra gli studenti, si fanno dei concerti…

E già l’ubicazione dell’IPM di Bologna, nel centro della città, con un cortile dove vengono svolti gli spettacoli, è indice della volontà di apertura e di contatto con la società. Contatto che è utile non solo ai ragazzi reclusi, ma anche e soprattutto a quelli fuori, come spiega la stessa direttrice, descrivendo con grande emozione i momenti di incontro con le scuole. Piccoli momenti rivoluzionari che smontano pregiudizi e fanno nascere intese.

Il carcere quindi come luogo di educazione, non solo di reclusione. L’Istituto funziona anche come Centro di Giustizia Minorile per l’Università di Bologna.
Da molti anni una convenzione consente ad alcuni studenti di Scienze della Formazione di svolgere tirocini in carcere…

PZ: Non solo, quest’anno c’è anche una novità. Attraverso una collaborazione con Alma Mater, e grazie ad alcuni contatti con insegnanti qui in carcere, abbiamo messo in piedi un percorso di alta formazione indirizzato a futuri insegnanti delle scuole ed educatori. E’ un’esperienza, la prima in Italia, che nasce dalla pratica, dalla riflessione. E soprattutto il costo è economico per i corsisti.
Per me è motivo di grande orgoglio perché credo che scuole e università debbano essere non solo fruitori ma anche protagonisti dell’istituzione carceraria. La scuola, l’educazione va fatta nelle sedi che possano spendersi in questo.

Cosa succede a un ragazzo recluso quando compie 21 anni?

PZ: Purtroppo la legge stabilisce che venga trasferito nel carcere per adulti. Ed è un passaggio radicale specie dopo aver fatto un certo percorso. Noi cerchiamo il più possibile di curare la transizione, ma non si può fare altro. Credo che tutti dovrebbero avere la possibilità di stare in carcere senza subire una condanna ulteriore che è la mancanza di rispetto della dignità umana. E a maggior ragione questo vale per un ragazzo minorenne che ha fatto un percorso e potrebbe vanificarlo. A voler essere più cinici possibile si potrebbe dire che è una questione di investimento.

Ma purtroppo quando si parla di carcere c’è sempre questa tendenza a voler puntare il dito verso chi si è macchiato di colpe più o meno gravi. Anche se sono minorenni e non hanno avuto i mezzi, anche se non sono alfabetizzati, anche se sono in attesa di giudizio… chi sta in carcere ha comunque sempre commesso delle colpe. L’origine non è ricercata o è enfatizzata, le motivazioni reali spesso vengono trascurate. Si preferisce ignorarle, per non scontrarsi con alcune mancanze e debolezze che riguardano l’intera società.

Ma la direttrice sembra più ottimista.

PZ: Il problema fondamentale è che gli altri devono essere informati, a maggior ragione su temi come il carcere. Strutturalmente è pensato come un luogo relegato e quindi circolano fantasie di tutti i generi… le persone poi meno ne sanno, più si inventano. Devo dire che a volte anche i giornalisti fanno un brutto lavoro, inseguono per comodità la notizia scoop. Non interessa approfondire il discorso.
Per questo noi facciamo attività con le scuole : così si instaura un rapporto molto profondo tra adolescenti, nasce una coscienza. Li educhi, in modo che sappiano.
Gli studenti che vengono dalle scuole, entrano in carcere pieni di pregiudizi. “Dovrebbe ringraziarci che gli diamo da mangiare” pensano inizialmente. E poi escono che sono trasformati perché vedono coetanei identici a loro. Sì, questi incontri provocano un grande cambiamento nei ragazzi.

A cura di Francesca Mezzadri e Alessio Vaccaro
luglio 2011

 

Istituto Penale Minorenni di BOLOGNA
Via de’ Marchi, 5/2 40122 - BOLOGNA
e-mail: ipm.bologna.dgm@giustizia.it
www.cgmbologna.it

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