La famiglia di Laura

Intervista a Laura Halilovic, giovane regista

Laura ha 21 anni e ha già vinto 11 premi e 2 menzioni speciali a festival italiani ed esteri per il suo documentario, tra cui il Premio Alberto Manzi 2009 per miglior programma radio-televisivo educativo. Il film parla di lei e della sua famiglia e del suo grande amore per il cinema - per Woody Allen in particolare. Laura si indirizza proprio a lui - a Woody, a Mr Woody, Mr Allen - e gli parla della sua vita, dei suoi genitori, di sua nonna. Di quando era piccola. Dei suoi sogni - diversi da quelli di tutti gli altri adolescenti - come capita sempre alle persone speciali. E dei pregiudizi.

Storia di Laura - Laura è una ragazza come tante, ma con un talento particolare – quello della regia. Il suo documentario è in parte la sua vita: sembra quasi che la videocamera sia una parte del suo corpo, un orecchio, un naso, una bocca che porta sempre con sé ovunque vada.
Laura intervista sua madre mentre fa la pasta sul tavolo della cucina, i suoi occhi si soffermano sulle sue mani – le mani di una donna che lavora, che vuole portare avanti le tradizioni della famiglia. Vuole insegnarle a cucinare ad esempio, ma prima di tutto vuole il suo bene. Lo si capisce dallo sguardo che alza verso la telecamera mentre impasta e spiega a Laura delle sue origini, delle sue tradizioni.
"Tu hai 19 anni e ti dovresti sposare. Non vuoi?”.
“Non voglio”.
La mamma le ripete questa domanda molte volte nel corso del film. Mentre fa la spesa, mentre è in casa. Non forza la figlia, ma si vede che per lei è importante. Perché Laura e la sua famiglia fanno parte di una comunità con le sue tradizioni: è normale per loro sposarsi a quell’età, anzi generalmente lo si fa anche prima.

Ma oggi Laura ha 21 anni e non si è ancora sposata. Dopo aver girato questo documentario nel 2008, lavora come assistente di regia per una fiction Rai sull’emigrazione negli anni Sessanta e presto si impegnerà anche nel suo terzo film “Profumo di pesche”. Un film che, questa volta, mi spiega al telefono nei pochi minuti che ha di pausa tra un ciak e l´altro, è una storia d’amore tra una ragazza della sua etnia e un cuoco. Una storia che si preannuncia difficile visti i molti pregiudizi che riguardano la sua comunità.
“Ma bisogna parlarne, è l’unico modo per portare fuori i ragazzi della mia etnia da questo mondo chiuso… che poi chiuso non è affatto”.

Storia di una comunità - La comunità di Laura ha origini antiche. Si tratta di una minoranza etnica proveniente dall’India del Nord, e dispersa in tutta Europa. Laura e la sua famiglia vivono a Torino e molti altri membri della sua etnia sono confinati alle periferie della città. Non sono ben visti dagli altri cittadini. Forse perché pur essendo una comunità che si differenzia soprattutto per lingua e tradizioni, non è ancora stata riconosciuta giuridicamente come minoranza linguistica e come tale ha molte difficoltà a farsi accettare all’interno della società.
Fino alla metà del diciannovesimo secolo le persone appartenenti all’etnia di Laura erano schiave. Durante la seconda guerra mondiale vennero rinchiuse nei campi di concentramento e quasi un milione fu sterminato. Anche dopo, fino agli anni sessanta, in molti paesi europei – e si parla di Norvegia e Svezia - le donne venivano sterilizzate. Nella Repubblica Ceca e in quella Slovacca è stata pratica ricorrente fino agli anni Novanta.
Il documentario di Laura mette in luce tutti i pregiudizi che ancora esistono su di loro.

Eppure, si vede anche dal documentario, è un’etnia allegra, vivace, colorata. Amano stare all’aperto. Sono molto attaccati alla famiglia. Non professano religioni particolari. Non hanno leggi scritte. Alcuni di loro sono medici, avvocati e professori che conducono una vita normale in città, ma molti rimangono disoccupati e poveri. Vivono in villaggi isolati dalla città, in case fatiscenti o roulotte. Questo non perché lo dice la tradizione, ma perché sono spesso molto poveri. E la povertà, si sa, può portare più facilmente alla disperazione.

“Quando vedo queste casette tutte uguali, con il recinto di ferro attorno mi sembra che siano un campo di concentramento” spiega Laura “Qui sembra che il tempo si sia fermato. (…) Si vive confinati in ghetti, lontani dalla città e dai suoi abitanti, così nessuno di loro è costretto a vederci”.
Anche Laura è nata in queste casette, ma è da 10 anni che vive in un appartamento. “Oggi viviamo in una vera casa. 5 stanze per 9 persone. Per me non è cambiato niente, continuo a non avere uno spazio mio, ma ormai mi sono abituata”.
Nel documentario ricorda quando erano tutti assieme nelle baracche. “Mi piaceva la confusione. La mia baracca era sempre piena di gente. Tutti che parlavano ad alta voce. Adesso ci penso sempre meno, ma a volte mi manca ancora quella vita”. Il documentario scorre su vecchie immagini girate con la videocamera dal papà di Laura che la riprendono mentre gioca sulla neve con altri bambini – i suoi cugini. Si tirano le palle di neve, si rincorrono, girano intorno alle case, “ci sentivamo grandi”. Come tutti i bambini.

Ai confini - E’ brutto vedere che certi bambini hanno un destino segnato diversamente rispetto ad altri. Ad alcuni capita di nascere qui, in questo ghetto di cui parla Laura, e solo per questo, essere odiati da tutti gli altri.
“Questi sono i posti dove continuano a metterci: tra il canile municipale e i rifiuti della città.” Le parole di Laura sono dure, ma vere. Non c’è pietismo, non c’è commiserazione. C’è solo rabbia verso i pregiudizi, e rabbia anche verso la sua stessa comunità che non è in grado di ribellarsi. Anche per questo lei ha deciso di girare un documentario. Lei crede che sia necessario unirsi per abbattere gli stereotipi.

Gli zii e la nonna di Laura vivono in baracche alla periferia di Milano. Vorrebbero solo avere l’allaccio per luce e gas e le fogne, ma alla fine se la cavano. Laura li riprende con la sua videocamera- ci fa vedere tanto verde, bambini che ridono, una grande energia. Stanno, tutto sommato, bene, ma sono sempre in una situazione di instabilità: hanno appena ricevuto l’ordine di sgombero e pare che se ne debbano andare.
“E dove andiamo? ..se non abbiamo casa” lo dice la nonna di Laura nel documentario. Una donna che ha vissuto la guerra, costretta a spostarsi sempre, ma che va sempre avanti, senza perdersi d’animo. Il suo volto, segnato da tante rughe, sembra fissare lo spettatore, ingenuamente con una domanda molto semplice, quasi banale.

Leggi e media - Nel 1999 in attuazione dell’articolo 6 della Costituzione italiana è stata adottata anche in Italia la legge n.482 sulla tutela delle minoranze linguistiche storiche. Tuttavia nel lungo elenco delle minoranze linguistiche tutelate dallo stato italiano quella di Laura non c’è perché non è riconosciuta come tale.
La comunità di Laura non ha uno status giuridico, ed è come se non esistesse. Ma di fatto esiste eccome. Basta sfogliare un giornale italiano e almeno una notizia di cronaca – soprattutto nera - riguarda sempre qualcuno di loro.

I media non ne parlano bene, di questa minoranza che vive in baracche alla periferia della città. D’altronde i criminali non sono mai “italiani”, o se lo sono allora sono senzatetto o persone ai margini della società. Nella maggior parte dei casi i delinquenti sono immigrati, stranieri o appartenenti ad un’etnia come quella di Laura. Per questo poi la gente comune vuole che “se ne vadano a casa”.

“Non bisogna fare di tutta l’erba un fascio” così commenta la mamma di Laura –che come tutte le minoranze discriminate - si accorge dei commenti della gente.
Laura dice che secondo lei la gente li eliminerebbe tutti. Sembra che a rubare/stuprare/uccidere etc…siano solo loro. Lei ha provato ad intervistare alcuni torinesi per strada, chiedendo loro cosa ne pensavano della sua gente. I commenti ricevuti - che si sentono anche nel documentario - non li voglio trascrivere perché mi vergogno. Per quanto si possa odiare della gente, quando li ho sentiti mi sono domandata dove sia finito il rispetto per l’umanità in generale.

Armadio di luoghi comuni - Durante un convegno che si è tenuto a Milano nel mese di giugno, è emerso come molti pregiudizi nei confronti di un’etnia possano anche essere pericolosi, oltre che profondamente ingiusti. Una ricerca (Cambini, Università di Firenze, 2009) ha dimostrato come alcune di queste persone (40 i casi analizzati tra il 1986 e il 2007) siano state accusate ingiustamente di aver compiuto dei crimini (dopo il processo è emerso in tutti i casi che il fatto non è nemmeno sussistito) e addirittura incarcerate ancora prima del processo solo perché facevano parte di una specifica etnia. Etnia giudicata “pericolosa” così tanto da temere addirittura il pericolo di fuga prima del processo.

Come è possibile tutto questo?
Sarebbe successa la stessa cosa a chiunque?
Non credo. Perché esiste un antico pregiudizio nei confronti di chi non si adegua ad un modello standard di vita che porta spesso la gente comune, le forze dell’ordine, gli stessi magistrati a bollare chi non ci rispecchia del tutto, chi non è simile a noi.
Stipiamo il diverso nei cassetti del nostro armadio di luoghi comuni, armadio che crediamo serva ad orientarci in questa multiculturalità. E apriamo i cassetti quando abbiamo bisogno di definire qualcosa di inspiegabile – perché così diverso da noi.
Ma alla fine c’è un problema: siamo tutti diversi. E non abbiamo cassetti per tutti.

Pregiudizi - "La gente ti mangia vivo” spiega Laura “se invece ti ribelli, rispettano te e anche le tue tradizioni culturali. Bisogna farsi valere.” E’ l’unico modo, secondo Laura, per sconfiggere i pregiudizi.

Lei anche nel suo piccolo l’ha fatto. Non si è sposata perché voleva fare la regista. “Ogni volta che vedevo una videocamera rimanevo incantata”. Suo padre non ne voleva sapere, come tutti i padri tradizionalisti le ha detto No, ci sono stati liti e pianti come capita in molte famiglie. Ma ora, come sua madre, anche lui ha capito. E sono entrambi fieri di lei.

Anche se non li ho mai visti dal vivo, gli Halilovic, con tutti questi figli, ognuno con la sua passione –dalla musica ai videogiochi- mi sono simpatici. A cominciare dalla mamma di Laura che le ha insegnato a “essere più grande dei giudizi della gente”. E Laura lo è diventata, inseguendo il suo sogno, e combattendo per la sua comunità.
Comunità rom. Con il documentario “Io, la mia famiglia Rom e Woody Allen”.
Ah, non l´avevo scritto prima? Pensavo non fosse questo l´importante.

Intervista di Francesca Mezzadri - giugno/luglio

 

Io, la mia famiglia Rom e Woody Allen
Di Laura Halilovic (Italia 2009, 50 minuti), prodotto da Zenit Arti Audiovisive in collaborazione con Rai Tre, Aria Viva; sostenuto da Piemonte Doc Film Fund , Regione Piemonte (Assessorato al Welfare e Assessorato alle Pari Opportunità), Comune di Torino (Assessorato alle Politiche di Integrazione), Programma Media Unione Europea, Open Society Institute (Roma Decade Initiative 2005-2015), Compagnia di San Paolo (Materia di Immigrazione, Integrazione e Interculturalità).

Per saperne di più:
http://www.provincia.torino.it/istruzione/cesedi/news/famigliarom.htm

Il trailer del documentario:
http://www.youtube.com/watch?v=K7qe1egTkfs

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