Volti migranti raccontano

Intervista agli organizzatori e ai partecipanti della mostra "Volti migranti"

Solò. Dominic. Yuka. Emilia e Amadeus. Safura. 6 nomi non tradizionali che evocano posti lontani. 6 storie altrettanto particolari che provengono dall’estero, ma si fermano qui. 6 volti che possiamo guardare e non solo vedere, sui quali soffermarsi, incantati dalle storie. La mostra fotografica "Volti migranti", prorogata fino al 31 agosto all’Urban Center di Bologna, ci permette di usare il nostro sguardo per vedere - anzi guardare - una realtà che appare diversa da quella raccontata dai mass-media. Una realtà, fatta di momenti e quotidianità, sotto ai nostri occhi tutti i giorni.

Il laboratorio etno-fotografico - La mostra “Volti migranti”, che è stata inaugurata mercoledì 17 giugno, non è solo una raccolta di fotografie, ma è qualcosa di più, perché è frutto del lavoro di studenti e racconta il fenomeno degli stranieri in città in modo diverso da come lo fanno i giornali e la televisione.
Il reportage etno-fotografico, realizzato dai giovani del corso di Laurea Specialistica/Magistrale in Scienze della Comunicazione pubblica, sociale e politica dell´Università di Bologna, racconta la vita quotidiana di alcuni stranieri in città . Come spiega Pina Lalli, presidente del Corso di Laurea e responsabile scientifica del progetto “Le immagini ci fanno entrare in contatto con una realtà positiva che giornali e televisioni spesso sono costretti a trascurare perché portatrice di buone notizie tipiche della routine e non della cronaca: una vita quotidiana fatta di lavoro, studio, sport, tempo libero, cene fra amici, musica, danza, relazioni fra persone…”
Per documentare questa realtà, il lavoro etno-fotografico è stato organizzato in un certo modo. Il laboratorio, coordinato da Alessandro Zanini, esperto di fotografia, dopo una prima fase teorica è entrato nel vivo dell’azione. Alcuni ragazzi stranieri, abitanti a Bologna, si sono proposti volontari come “soggetti fotografici” e ogni studente del laboratorio ha “seguito” ognuno di loro, giorno per giorno, nella vita quotidiana, per capire quale momento fotografare, che significato dare all’immagine. Perché non basta schiacciare a caso un click per fare una bella foto. Bisogna anche capire quando farlo. Come spiega Zanini, tutor del laboratorio “Alle volte accade che il fotografo tenda a spettacolarizzare i fatti tragici a proprio vantaggio, mentre può essere più difficile trovare fotograficamente un senso nelle cose quotidiane più vicine a noi”.
Per questo gli studenti hanno cercato di capire chi si trovavano davanti. Sono stati invitati nelle case dei giovani stranieri, li hanno osservati a lavoro, per strada, in famiglia. Hanno fatto domande, si sono fatti raccontare le loro storie lontane e quelle quotidiane. E poi, solo dopo aver fatto tutto questo, hanno scattato le foto. 14 pannelli con 33 foto di giovani abitanti a Bologna, ma nati altrove.

Le foto - Ci sono le foto di Solò, giovane e bella senegalese, che balla, perché lei è maestra di danza e attualmente lavora al “Vecchio Son” del centro Zonarelli. Ma il dolce sguardo con il quale si rivolge ai suoi figli rivela tutta la cura e l’attenzione che dedica anche al suo lavoro da mediatrice culturale con i bambini e il libro che sta scrivendo per una scuola del Senegal.
E poi c’è Dominic, nato in Sudan, farmacista a Bologna: la sua determinazione si legge negli occhi concentrati mentre si allena prima di una partita di calcio. Dopo aver studiato a Khartoum e dopo le rivolte studentesche sudanesi, non ha rinunciato ai suoi studi e si è laureato in Farmacia in Italia. Con la stessa tenacia ha messo in piedi, insieme ad alcuni amici, una squadra di calcio “L’Equatore” composta prevalentemente da giovani stranieri e in testa al campionato di dilettanti del quartiere. Perché ci tiene a queste cose, Dominic.
Così come ci tiene a viaggiare Safura, nata a Teheran, studentessa anche lei al dipartimento di Comunicazione. Ha conosciuto la “sua fotografa”, ovvero la ragazza che poi l’ha ritratta, proprio lì, all’università. E da lei si è fatta fotografare in stazione, con il suo zaino, con i suoi libri mentre studia in biblioteca, con la sua bicicletta –che può usare solo qua in Italia. “Non sono una persona che vuole rimanere ferma” dichiara e le foto che la ritraggono sempre in movimento, sempre in viaggio, le sono piaciute molto.
Anche Yuka, la giovane giapponese ritratta, si dichiara soddisfatta delle foto che hanno scattato le sue amiche fotografe: sì, perché in questo caso le fotografe sono state due studentesse spagnole Erasmus che hanno deciso di ritrarre la loro ex coinquilina dello studentato, venuta in Italia da Tsuruga per studiare storia dell’arte. Yuka è allegra, ride sempre, e, anche se forse è un po’ timida, ama stare in compagnia e preparare piatti esotici con le amiche. Le foto la ritraggono così, a tavola, mentre scherza con le amiche, e scatta foto (anche lei).
Un altro lavoro fotografico di coppia è stato fatto ad una coppia: Emilia e Amadeus, due giovanissimi sposi (hanno entrambi 23 anni) provenienti dall’ Ecuador. Sposi e artisti: lui giocoliere, lei pittrice, cantano insieme in una band “El Kermaso”: la loro grinta e la loro energia si riflettono nelle foto live dei loro concerti, il loro amore nelle bolle di sapone che fanno insieme, la loro bellezza negli occhi pensosi di Emilia che studia, e di Amadeus mentre fa volare i birilli per aria.

L’esperienza - E’ stata un’esperienza intensa per gli studenti del laboratorio. “Io faccio fotografia ma non ho mai avuto un approccio così stretto con chi dovevo fotografare” spiega uno dei giovani fotografi.
“Come fotografi dovevamo essere invisibili, rendere i nostri soggetti il più spontanei possibile per poterli fotografare nella loro vita quotidiana”. Pare ci siano riusciti...“Io non me ne sono neanche accorto” ammette uno dei soggetti ritratti.
Ed è stata una bella esperienza anche per loro, soddisfatti delle foto che li ritraggono, e per niente infastiditi dalla presenza dei fotografi-ombra. “Io sono contenta di questa celebrità”.
“Non mi ha mai, mai, mai dato fastidio la sua presenza…”.
Non è magari così semplice per i fotografi entrare in punta di piedi nella quotidianità di altre persone, ma è stato sicuramente un lavoro più ricco e completo. Un’opportunità. Per loro, ma anche per noi.
Guardare una foto vuol anche dire fermarsi un attimo a riflettere. Un’immagine che magari rappresenta un momento quotidiano può sembrare banale, ma dice molto del soggetto fotografato. Dice qualcosa di più, che gli occhi che vedono non riescono a cogliere. Per visitare questa mostra non ci vogliono occhi che vedono, ma occhi che sappiano guardare. Esattamente come quelli dei fotografi. Occhi che sappiano soffermarsi su quello che le immagini vogliono dire.
Sui titoli dei giornali, nella cronaca , gli immigrati spesso sono indicati come potenziali criminali, come invasori o come poveri emarginati. Ma se ne vedono altrettanti per strada, a lavoro, all’università, a fare la spesa, nelle case a fare da badanti ai nostri anziani, nelle scuole come genitori che accompagnano i figli. Ci sono più di 21.000 cittadini stranieri a Bologna. Si tratta di persone nate semplicemente in un altro paese – magari meno fortunato del nostro- che si sono stabiliti qui, in questa città e ci vivono, più o meno bene, più o meno integrate. Ognuno con una sua individualità. Ognuno con una sua storia. Gli occhi che visiteranno la mostra dovranno stare attenti a questo.
Chi viene da lontano ha forse più storie da raccontare. Vale la pena ascoltarle, o guardare un po’ più a fondo le immagini per capire meglio.

Il lavoro di Lobee - La mostra segue il percorso delle 5 diverse storie e racconta non solo tramite immagini, ma anche con parole, le storie di Solò, Dominic, Emilia, Amadeus, Yuka e Safura. Sui pannelli, ogni serie di foto è accompagnata da una breve biografia dei soggetti ritratti. Parole scritte da altri studenti, quelli del laboratorio Lobee della Laurea Specialistica in Scienze della Comunicazione pubblica, sociale e politica, che hanno tradotto e raccontato le esperienze vissute dai fotografi e dagli stranieri. Non solo. Il laboratorio Lobee si è impegnato ad organizzare la mostra, curandone la logistica e la comunicazione.
“Abbiamo organizzato un seminario il giorno dell’inaugurazione della mostra dove abbiamo invitato a parlare ricercatori e rappresentanti istituzionali che illustrassero meglio la situazione degli immigrati a Bologna dal punto di vista sociologico. Abbiamo avuto una grande copertura mediatica per l’evento, e la partecipazione è stata davvero numerosa… non ci aspettavamo così tanta gente interessata ”.
I media-partners scelti da Lobee hanno aiutato a svolgere un lavoro ancora più ricco e completo. E’ anche grazie a loro che i punti di vista si sono moltiplicati e il quadro dell’esperienza si è presentato ancora più variegato e interessante.Crossmode, social network creativo-interculturale, ha scelto di raccontare i retroscena del reportage etno-fotografico. E così ecco le voci dei fotografi che raccontano le loro esperienze con i giovani stranieri, le loro perplessità, le difficoltà incontrate nel momento dello scatto, le reticenze a farsi raccontare le storie di vita. E sul sito sono pubblicate anche le foto che non sono presenti alla mostra, quelle “scartate”. Ugualmente belle, ugualmente ricche per chi fosse curioso di saperne di più, di aggiungere un altro pezzettino di storia a quella già raccontata.Crossing Tv, la webtv interculturale rivolta ai giovani, ha invece intervistato fotografi e stranieri in un’interessante faccia-a-faccia che svela i rapporti creati durante l’esperienza fotografica.
Perché alle storie di giovani migranti si sono intrecciate inevitabilmente le storie dei fotografi.
“Ci siamo incontrate e abbiamo iniziato a parlare della sua vita, sia in Iran che qui in Italia. (…) Lei mi ha introdotto in un mondo che non conoscevo”.
Chi sa guardare può capire.

Intervista di Francesca Mezzadri - maggio/giugno


Volti migranti - Lo spazio quotidiano dei cittadini stranieri a Bologna

Urban Center Bologna, piazzale Nettuno 3 (BO)
mostra fotografica prorogata fino al 31/08/2009
www.lobee.altervista.org

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