La violenza sulle donne? Un problema degli uomini

Intervista alla Casa delle Donne per non subire violenza di Bologna

Sembra scontato, ma alla fine non lo è tanto. Quando le donne subiscono violenza, il problema non è loro. Lo diventa, certamente. Ma nasce da chi usa violenza nei loro confronti: uomini, sconosciuti e conosciuti, che le aggrediscono, le insultano o le picchiano per pazzia, per rabbia, perché non riescono a controllarsi. Sembra scontato. Però alla fine, in Italia, esistono solo centri anti-violenza per le donne, rivolte alle vittime delle violenze, per aiutarle a uscire da una spirale che non è nata da loro. Ne parliamo con Caterina Righi che lavora nel settore accoglienza della “Casa delle Donne per non subire violenza” di Bologna.

Più consapevolezza - “Ora c’è maggiore consapevolezza che esiste questo problema, ma prima non era così” spiega Caterina Righi, una donna che con tranquillità e dolcezza è subito in grado di metterti a tuo agio nel salottino accogliente della sede del centro. “La Casa delle donne nasce da un gruppo di donne femministe formatosi nel 1985, donne che sostenevano che non venisse fatto abbastanza contro la violenza sulle donne. Io sono arrivata nel 1990 quando, con il Comune di Bologna, iniziammo a gestire il servizio e cominciammo l’attività”. Ora sono circa in 18 tra socie e operatrici: alcune, come Caterina, si occupano dell´accoglienza, fanno colloqui, stabiliscono insieme percorsi, e fanno formazione anche a operatrici di altri centri, altre gestiscono le case-rifugio, alcune si occupano dei minori e di un progetto più specifico rivolto a donne che escono dalla tratta, altre del settore promozionale, e poi ci sono le volontarie e le tirocinanti.
In base a una ricerca Istat del 2006, pubblicata in Italia nel 2007 (l’unica in Italia sul tema), l’Emilia-Romagna è in testa per il numero di donne che hanno subito violenza: in realtà non è così, è che la regione è quella dove c´è maggiore consapevolezza del problema anche da parte delle vittime che trovano il coraggio di rivolgersi a chi le può aiutare - polizia, servizi sociali o centri anti-violenza. E, non è un caso, in Emilia-Romagna esiste un centro anti-violenza per ogni città. “Dall’inizio del 1990 fino al 2006 abbiamo registrato in media 350 donne nuove ogni anno. Ma nel 2007 c’è stato un aumento incredibile di 550 donne nuove, mentre nel 2008 490 che è un numero inferiore ma comunque elevato. Noi l’abbiamo letto come un aumento di consapevolezza da parte delle donne, forse dovuto anche all’attività promozionale che abbiamo fatto. O al fatto che sui giornali se ne parla sempre di più anche se in modo distorto. In realtà però il fenomeno è ancora più vasto.(…) Donne vittime di violenza si possono incontrare ovunque."

Donne diverse - Come spiega Caterina non esiste una tipologia di donna-vittima. “ Da noi vengono molte donne diverse tra loro: di diverse età e cultura, di diverso livello economico e sociale. Con figli, senza figli, italiane o straniere, dipende. Quello che le accomuna è che nella stragrande maggioranza dei casi subiscono violenza da uomini con cui hanno avuto relazioni intime. Solo una minoranza subisce violenza da sconosciuti, anche se viene dato loro maggior rilievo dai giornali. E’ sempre un trauma, anche se diverso”.
“Il fenomeno della violenza domestica è invece molto complesso. A volte le vittime vengono immediatamente perché è in pericolo la loro vita e quella dei loro figli. Di solito però la violenza avviene episodicamente e loro si rivolgono al centro perché vogliono capire il perché. Seguono il consiglio di amiche o parenti, vengono qui perché ne hanno sentito parlare in giro, o perché i servizi sociali le indirizzano. Quando c´è in tv lo spot del numero verde del Ministero delle Pari opportunità, 1522, moltissime telefonano. (…) Si tratta di donne che comunque hanno fatto un primo passo: noi ci chiamiamo Casa delle donne per non subire violenza e loro trovano il coraggio di venire da noi."

Informazioni, ascolto, aiuto - -E cosa può fare la "Casa delle donne" per le vittime di violenza?
“Innanzitutto noi offriamo informazioni corrette in un luogo protetto che è questo. Dico informazioni corrette ed adeguate perché qua non viene detto sempre di denunciare. Fai la denuncia e tutto si risolverà. Invece no, non succede. Anzi, nella maggior parte dei casi fare denuncia può risultare pericoloso. La scelta spetta alla donna. Noi la mettiamo nelle condizioni di scegliere, in modo che capisca cosa vuole fare da persona adulta e responsabile”.
Il centro è un luogo protetto anche perché non vengono date informazioni all’esterno, in modo che le donne si sentano sicure. Per chi ne ha bisogno esistono anche case rifugio. 2 appartamenti dove le vittime possono stare con o senza i loro bambini per un periodo massimo di 5/6 mesi. Generalmente vengono ospitate donne con più difficoltà che non riescono a trovare aiuti altrove. Loro sanno che si tratta di un primo servizio di accoglienza: dopo, se ne avranno ancora bisogno e se i servizi sociali lo riterranno opportuno, potranno andare a stare in altre strutture comunali o comunità – ma questo non dipenderà purtroppo da loro. 5 o 6 mesi sono pochi, ma possono servire alla donna a capire o magari a separarsi da un marito violento e decidere che cosa fare.

Tipicità di comportamenti - “Le donne che si rivolgono al centro sono appunto molto diverse" spiega Caterina "ma quello che raccontano è simile. Noi non riceviamo gli uomini qua, ma ormai sappiamo riconoscere la tipicità di comportamento di un partner violento. Innanzitutto la violenza non inizia subito, ma dopo un po’. Mi riferisco non solo a quella fisica, ma anche alla violenza psicologica – a volte subita quotidianamente –umiliazioni, minacce di morte, ingiurie, oppure violenza sessuale o anche economica- come l’obbligo di far sottoscrivere debiti alla moglie. Dopo l’aggressione subentra quasi sempre una richiesta di scuse, o la promessa che non succederà più e quindi la relazione viene in parte recuperata. Alcuni uomini ammettono di aver fatto qualcosa di grave ma poi dicono "alla fine ti sei comportata male, i bambini facevano chiasso, non dovevi vestirti così che mi dà fastidio etc”. Spesso manca proprio un’assunzione di responsabilità adulta del tipo “sì ti ho mandata all’ospedale, ho fatto qualcosa di grave, non voglio più che succeda più”. E comunque non basta dirlo, bisogna che si faccia qualcosa, che l´uomo faccia qualcosa perché evidentemente il contegno della rabbia o l’uso del potere supera la misura. La responsabilità della violenza è di chi l’agisce, questo è ovvio”.
Poi ci sono altri casi, ancora più estremi. Ci sono anche uomini che non chiedono mai scusa, alcuni minimizzano negano l´evidenza e chiedono alla donna picchiata che cosa è successo. A questo punto capita spesso che anche le donne minimizzino. Quel che peggio è che spesso la violenza avviene in concomitanza ad eventi difficili della vita familiare –la prima gravidanza, problemi familiari o sul lavoro - e quindi viene letta dalle donne come una causa esterna e come tale viene quasi giustificata. Le donne cercano di adattarsi alla situazione o a prevenire, tentando di intuire le cause, ma non ci riescono, e la cosa diventa ingestibile. A questo punto si spaventano e si rivolgono ai centri anti-violenza. Ora lo fanno, in media dopo aver subito 5 anni di violenza. Un tempo, si decidevano a farlo dopo 10 anni.
Esistono anche degli indicatori per stabilire la potenziale pericolosità degli uomini violenti. SARA, acronimo di “Sposual Assault Risk Assessment”, è in sostanza un´intervista standardizzata, frutto di un lavoro di ricerca nordamericano adattato all´Italia che permette di fare previsioni sul rischio di recidiva. Spiega Caterina:“Quando una donna arriva e dice che suo marito la minaccia con un coltello è difficile dirle vai traquilla a casa, anche se d´altra parte non possiamo prendere noi una decisione. Noi la aiutiamo a capire la gravità della situazione con la nostra esperienza e le interviste SARA con gli indicatori. Tra gli indicatori ad esempio c’è l’alcol: la stragrande maggioranza degli uomini violenti non sono alcolizzati, ma se capita che un uomo beve è più semplice che perda il controllo. Stessa cosa se l’aggredisce davanti ai figli o davanti a estranei, se soffre di disturbi mentali, se minaccia il suicidio…”

Uomini che odiano le donne - Già, proprio il libro dello svedese Stieg Larsson, tanto di moda in questo periodo. "Uomini che odiano le donne". Perché il vero problema della violenza sulle donne è di chi la agisce: uomini che hanno dei problemi con il controllo, la rabbia, le donne. Uomini che hanno dei problemi.
“Noi stiamo portando avanti insieme al Comune di Bologna una ricerca Dafne con fondi europei e partner europei, per capire se l´Italia è terreno sociale e politico adatto ad avviare centri per uomini maltrattori. All´estero, dove i centri per le donne sono nati prima, questi centri per uomini esistono già. Gli uomini sono sempre stati un po´ dimenticati in questo processo che però li riguarda direttamente, molto più delle donne. L´uomo non può denunciare una donna perché ha cucinato male o si è vestita in modo provocante, mentre una donna può farlo se l´ha mandata all´ospedale o l´ha menata. Il 19 e 20 marzo terremo un seminario pubblico su questa ricerca, durata 2 anni, che ha coinvolto anche la Spagna, la Grecia e la Norvegia (dove già esiste questo centro)”.
Qua a Bologna comunque alcuni uomini si stanno già muovendo... Un´educatrice della Casa delle Donne e uno dell’associazione nazionale Maschile Plurale stanno portando avanti nelle scuole superiori la campagna Fiocco Bianco nata in Canada e diretta ai ragazzi per iniziare a parlare del problema della violenza. Qualcuno si ricorderà di quei nastrini bianchi che venivano messi sul foulard o sulla giacca per dire No alla violenza. Ebbene, quei fiocchi sono nati in Canada nel 1991 quando un gruppo di uomini ha deciso di ribellarsi contro una cultura maschilista e violenta , e per farlo ha organizzato la campagna White Ribbon, usando il fiocco bianco come simbolo. 100.000 uomini in tutto il paese lo indossarono. Fiocco che qua in Italia portano tutti indifferentemente e spesso ignorandone la storia.
“In Italia c’è ancora una forte cultura sessista” dice Caterina “che parte anche dal linguaggio che inconsapevolmente viene usato dai maschi e dalle ragazze più giovani. Un linguaggio che implica il considerare la donna alla stregua di un oggetto sessuale, un linguaggio che poi può portare alla violenza o a sottovalutare la gravità di certi comportamenti”.

Parlare e parlarne - In attesa che un centro per uomini apra anche da noi, che cosa si può fare?
"Intanto è importante parlarne. Una delle conseguenza del maltrattamento è che le donne non si sentono sicure, e quindi bisogna rafforzare le loro capacità".
Se la gente ne parla, sprona le donne a confessarsi, a capire che è un problema comune. Il silenzio invece è pericolosissimo. Tra l´ altro, una tutela legale c´è.
"Dal punto di vista istituzionale le leggi ci sono" dice Caterina "E’ dal 2001 che esiste l’ordine di protezione in base al quale la persona violenta può essere allontanata da casa e da tutti i luoghi frequentati da donna e bambini per 6 mesi. E’ una risposta concreta ed efficace, prevista anche per conviventi. (...) Quei 6 mesi ad esempio sono utili per la donna che vuole chiedere la separazione. Ma anche in questo caso non è detto che sia l’unica soluzione. La separazione è pericolosa. Separarsi vuol dire assumersi un potere grosso di cambiamento. E spesso il partner violento può non tollerarlo".
Caterina si sofferma su un altro luogo comune di questa società. "A volte viene sottovalutato il problema delle donne che vengono picchiate. Si pensa che è un problema delle donne o della coppia. Ci si domanda ma perché lei non se ne va!? Ma qui non si tratta di un conflitto, quando subentra la violenza, uomo e donna non sono mai alla pari, c´è sempre un abuso di potere. E quindi la donna non è nella posizione di decidere qualcosa. Per lei è faticoso, doloroso, traumatico: non sa più chi è l´uomo con il quale vive, ma ha bisogno di credere che le cose si sistemeranno. Si vergogna. E´ sfiduciata. Quando viene da noi chiede come può fare a cambiare il compagno.
A volte si riconcilia, perché scoraggiata dalle difficoltà. (...) Faccio un esempio estremo. Una donna straniera e disoccupata, che non parla bene l´italiano, che ha bambini non ancora iscritti al nido: il suo uomo la picchia, la ingiuria e la svalorizza. Lei pensa che nessuno l´aiuterà mai, che l´assistente sociale affiderà a lui i bambini perché lui ha un lavoro e lei no. Noi cerchiamo di dare informazioni adeguate, di dire che non funziona così, anzi. Che i servizi sociali offrono aiuto per la protezione dei minori. Tra l´altro il nostro centro offre anche sostegno alla genitorialità delle mamme: le nostre psicoterapeute con colloqui cercano di capire come aiutare i bambini, come proteggerli anche quando non sono fisicamente aggrediti (loro sanno sempre tutto o lo capiscono). (...) Noi curiamo il periodo in cui la donna viene invitata a prendere una decisione. Dopodichè però il problema diventa sociale. E mancano sempre di più le risorse in questo campo per i Comuni, le Regioni, lo Stato… Per certe donne raggiungere l´autonomia è difficile. (...) Quindi in alcuni casi non si può pensare di separarsi, è meglio tentare la riconciliazione".

Stalking - Con Caterina parliamo anche di stalking. “Lo stalking è come la scoperta dell’acqua calda” ride. Infatti tutti quei comportamenti lesivi che oggi vengono riuniti nella definizione di stalking erano già di conoscenza da moltissimi anni dalle donne che li subivano e dalle altre che cercavano di aiutarle a proteggersene . “Ben venga comunque che se ne parli: le leggi c´erano anche prima ma prendere atto che il problema è drammatico e che non è solo una responsabilità delle vittime, aiuta le donne a confessare".
“Invece un fenomeno relativamente recente" racconta "riguarda le giovanissime. Ragazze che hanno avuto relazioni anche brevi con un ragazzo che poi si sono interrotte. Da qui partono persecuzioni pazzesche. La ragazza è costretta a rinchiudersi in casa, riceve minacce, lettere, mail ingiuriose, vengono danneggiati oggetti… Stanno aumentando sempre di più questi casi. In realtà quello che frega è la fiducia". Non si può credere che chi si conosce faccia qualcosa del genere. Ma invece capita.

Chiedo a Caterina di raccontarmi una bella storia, una storia finita bene. Ce ne sono tante fortunatamente. Ma "bene" è un concetto relativo, in realtà dipende dall’obiettivo. "Fa parte del nostro lavoro far capire a chi viene qui, cosa realmente vuole. Questo deve essere il nostro reale obiettivo. Inutile cavalcare progetti di autonomia se mancano gli strumenti. Ma la chiarezza su quello che la donna può e vuole fare, la si ottiene. Di solito le donne ci riescono”.
"Io credo che tutte le persone possano cambiare ma ognuno lo può fare per sé. La battaglia si può vincere ma deve partire da chi fa nascere la guerra, in questo caso dagli uomini. In Norvegia, dove esistono i centri per i maltrattori, gli uomini vanno volontariamente a farsi curare, anche se inizialmente spinti da mogli o da denunce, fino a che non capiscono che lo devono fare per loro. Il nostro obiettivo per ora è quello di aiutare la donna a stare meglio. A farle ritrovare il sorriso –non perché è scappata, ma magari perché sa che non c´è più bisogno di scappare via da un uomo".


Intervista a cura di Francesca Mezzadri - febbraio


Casa delle Donne per non subire violenza

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tel. 051-333173 / fax 051-3399498
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