Le altre Olimpiadi: quelle dei diritti umani. Intervista a Roberto Reale

Intervista al giornalista Roberto Reale

copertina libro doppi giochiL’8 agosto inizieranno le Olimpiadi. Un grande evento sportivo mondiale che quest’anno si terrà a Pechino, capitale di un immenso paese dove ancora viene applicata la pena di morte, dove 800 milioni di persone vivono in condizione di povertà, ma anche dove la crescita industriale ha raggiunto vertici insospettabili negli ultimi anni. Un paese dal doppio volto, per usare la definizione di Roberto Reale, giornalista, vicedirettore di Rainews24 e segretario generale di Information Safety and Freedom, che nel suo libro “Doppi giochi” (Stella Edizioni, 2008) svela la dimensione extra-sportiva dell’evento…

Censure e controllo, manipolazione e violenza: Reale nel libro racconta le storie delle persone che ancora si battono per la difesa dei diritti umani. Diritti che spesso vengono calpestati –con la complicità e il silenzio della nostra società- dal regime cinese che aveva preannunciato un’imminente democratizzazione in vista dell’evento mondiale. E Reale ci spiega perché è importante, proprio in occasione di questo avvenimento, ricordare che ci sono anche queste storie...altre Olimpiadi.

Come lei specifica anche nell’introduzione del libro, il sottotitolo di “Doppi Giochi” è “Le altre Olimpiadi. Contro la censura. Per i diritti umani”. Questo per sottolineare l’obiettivo del libro. Lo può spiegare anche ai nostri utenti?
Il sottotitolo si collega nettamente al titolo “Doppi giochi”, ovvero il doppio volto di questi giochi olimpici, e anche la foto di copertina che rappresenta una maschera è legata a questo concetto. L’altro volto di queste Olimpiadi riguarda appunto il fatto che avvengono in un paese autoritario, in un paese dove c’è stato un enorme sviluppo anche con la partecipazione di tantissimi imprese occidentali che però non ha migliorato gli standard di rispetto dei diritti umani. La Cina è il paese con il più alto numero di condanne a morte, è il paese nel quale Internet viene censurata, è il paese dove ci sono molti dissidenti e giornalisti in prigione e tutto questo è avvenuto con la complicità o indifferenza della comunità occidentale che con questo paese ha teso a fare soprattutto affari. Quindi è importante tentare di far sì che questo momento delle Olimpiadi sia anche un’occasione per ragionare sul rapporto tra noi e la Cina.

Quando nel 2001 si è deciso di assegnare a Pechino i giochi olimpici, l’Italia dice di aver scelto la Cina anche per “far vincere la democrazia”. Però non è esattamente così: c’è una bella differenza tra gli alti valori proclamati legati al gioco olimpico e la realtà commerciale dei fatti. Tuttavia il Comitato Olimpico Internazionale sembra voler fare apparire tutto tranquillo e sereno…In che modo?
Personalmente credo che il Comitato Olimpico Internazionale abbia grandissime responsabilità. In realtà non bisogna dimenticare che le Olimpiadi sono anche un fatto commerciale strepitoso: il bilancio complessivo delle Olimpiadi di Atene è stato valutato intorno ai 15 miliardi di dollari, il bilancio di previsione per quelle di Pechino è di oltre 40 miliardi di dollari e questo dà misura anche degli interessi in campo. Anche il CIO ricava dalla vendita dei diritti televisivi e da tante altre cose una montagna di quattrini. In questo senso c’è stata un’enorme ipocrisia: già dal 2001 si è vista infatti la possibilità di fare un’Olimpiade ricca a Pechino, e si è fatto finta, a mio avviso, di voler patrocinare un incremento dei diritti umani. Il CIO però non ha fatto assolutamente nulla perché questo avvenisse e proprio in questi giorni c’è l’imbarazzo dello stesso Comitato che si accorge ad esempio che per i giornalisti presenti in questi giorni a Pechino molti siti internet occidentali, ritenuti fastidiosi, restano oscurati e il Comitato dice che non può fare nulla perché sono le leggi cinesi. In realtà è stato anche il CIO che non ha fatto assolutamente nulla perché in questi 7 anni cambiasse qualcosa all’interno della Cina e non ha spiegato alle autorità cinesi che bisognava operare concretamente per un cambiamento degli standard. Si è accontentato di generiche promesse essendo sostanzialmente d’accordo sul fatto che le Olimpiadi sono un grande affare, un grande fatto commerciale, e quindi ha puntato unicamente a questo, non ha svolto assolutamente una funzione positiva per far sì che i giochi olimpici si svolgessero in un paese che avesse realmente migliorato la condizione e il rispetto dei diritti umani.

Partiamo invece dalle persone, come dice lei nel libro. E’ importante conoscere i nomi dei cosiddetti dissidenti, in modo che diventino familiari anche a noi. E come è possibile per noi cittadini occidentali entrare più a fondo in questo “backstage”?
Io credo che dovremmo compiere uno sforzo, perché alla fine le informazioni poi trapelano. Da noi per fortuna la circolazione di informazioni, soprattutto su Internet, è possibile; tutti possiamo accedere a documenti, c’è molto materiale in lingua inglese, ma ce n’è di buono anche in italiano. Per esempio il sito di Rainews24 adesso ospita una sezione dedicata a Pechino e ai diritti umani, il sito di Information and Safety Freedom ha un dossier dedicato alla repressione della libertà in Cina, e poi ci sono molti altri siti che fanno operazioni di questo genere, quindi la possibilità di informarsi c’è. Il vero problema è quello appunto, di familiarizzare con queste persone delle quali si parla. Poi c’è sempre chi ti dice “Ma la Cina è un paese diverso, lontano, loro hanno un’altra cultura”. Benissimo, io non sono un sinologo quindi accetto assolutamente qualsiasi tipo di giudizio. Però ritengo sia utile proprio per questo conoscere le storie di persone in carne ed ossa, di cittadini cinesi che hanno semplicemente scritto degli articoli e per questo sono finiti in galera, persone che hanno mandato delle mail che non dovevano mandare e sono stati condannati a 10 anni di prigione! Cominciamo a conoscere i nomi, come quello di Shi Tao, come quello di Hu Jia… Il libro fa proprio questo: cerca di farci conoscere queste persone, che cosa hanno fatto e per quali “reati” di opinione hanno ricevuto pesantissime condanne. Il meccanismo diventa quindi quello di avvicinarci a questa realtà, capire qual è la strada migliore. Se ci si mette a fare delle analisi su questo sistema straordinariamente complesso, non si va da nessuna parte. E’ importante leggere e seguire i racconti, incontrare le persone, capendo magari quello che è accaduto loro, e da lì partire costruendosi un’opinione.

Nel libro lei racconta la storia di Wei Wenhua, cittadino reporter, ucciso dai vigilantes per aver filmato un’ingiustizia. Da una parte la sua vicenda è stata “utile”, per così dire, e ha addirittura aperto un vero e proprio dibattito sul Web –una sorta di piazza virtuale- d’altro canto, come lei illustra nel libro, i giornalisti non hanno saputo, o meglio osato, sfruttare questa potenzialità.. Come mai?
Qui non bisogna confondere i due piani: una cosa è quello che accade all’interno della Cina, altro è quello che accade da noi. La Cina è un paese con una tradizione di autoritarismo comunista che si lega a un liberismo selvaggio e a uno sviluppo capitalistico. Ciò che emerge è una struttura autoritaria e nello stesso tempo profondamente diseguale, generatrice di grande ingiustizia.
Wei Wenhua, il cittadino reporter, era stato picchiato selvaggiamente perché aveva assistito, aveva filmato, un pestaggio operato da dei vigilantes nei confronti di un gruppo di contadini. Quindi il solo fatto che filmasse questa cosa gli è costato la vita. I giornali cinesi ne hanno parlato. Pur senza portare le responsabilità verso l’alto, hanno attribuito le responsabilità ai vigilantes che sono stati perseguiti. E’ una cosa comunque positiva. Certo, bisognerebbe capire perché il sistema è organizzato così, ma questo è già un passo importante considerando la realtà cinese.
Invece per quanto riguarda le nostre società occidentali, credo che noi dovremmo avere i riflettori puntati sulla Cina non solo perché è un paese da 1 miliardo e 300 milioni di persone che rappresentano 1/5 dell’umanità, non solo perché lì ci sono tassi di sviluppo che stanno trainando l’economia mondiale, ma anche perché le caratteristiche del suo modello sociale economico politico sono estremamente inquietanti. E dobbiamo anche capire che stiamo parlando di un colosso e non di una cosa piccola.

Continuiamo quindi a conoscere le persone…Chi è Hu Jia? E perché è stato arrestato per “incitamento alla sovversione” ed isolato?
Io ho detto che Hu Jia potrebbe essere inteso come il Sacharov cinese. Jia è un uomo di scienza, un uomo che si è occupato di ambiente e di una serie di diverse problematiche. E’giovane, ha 35 anni, e recentemente ha portato alla luce il fatto che molti contadini negli anni passati a causa di trasfusioni infette –le condizioni sanitarie nelle campagne sono pesantissime- hanno contratto l’AIDS. Ha toccato un tema estremamente scabroso e questo ha cominciato a metterlo nei guai. Ha subito arresti, persecuzioni…Poi, lo scorso anno, insieme ad un avvocato, ha scritto un articolo, una lettera, nella quale denunciava in sostanza le cose che accadevano in Cina e chiedeva che le Olimpiadi si svolgessero in un clima di rinnovato rispetto dei diritti umani. Per questa ragione, a fine dicembre dello scorso anno, è stato arrestato e ad aprile è stato condannato a 3 anni e mezzo di prigione. Ha compiuto gli anni qualche settimane fa in carcere in quasi totale isolamento, in una condizione –è anche malato – assolutamente non sopportabile.
E’ una persona emblematica perché è un intellettuale che si pone il problema di raccontare quello che sta succedendo nel suo paese, e glielo impediscono in tutti i modi. Lo hanno arrestato anche perché temevano che per la sua notorietà potesse, nei giorni delle Olimpiadi, parlare con i giornalisti stranieri.
Questo tra l’altro sarà uno dei nodi nelle prossime settimane: quale possibilità di parlare con interlocutori scomodi avranno i giornalisti presenti a Pechino? Sicuramente ci saranno controlli su controlli, sicuramente Hu Jia non potrà vedere nessuno e lui sarebbe una delle figure più rappresentative e importanti.

Anche la storia di sua moglie, la giovane Zeng Jinyan, è interessante.. Però si tratta di casi in cui la stampa internazionale non ha aiutato la campagna per i diritti umani…
In realtà c’è anche un problema di informazione in Italia su questo argomento. Per esempio, in alcuni canali internazionali -penso a CNN- molte informazioni sono passate, ho visto dei servizi realizzati proprio in occasione del processo, e poi è stata raccolta l’opinione della moglie…
Questo però non è avvenuto in Italia. Diciamo che in Italia siamo assolutamente compressi dai problemi di casa nostra che sono tanti e complicati. Il nostro occhio alle questioni internazionali è relativamente ridotto, tra noi sicuramente non c’è stata alcuna attenzione, anche perché molte volte i giornali parlano distrattamente di quello che accade in Cina, magari mettono più in luce le buone attività delle nostre imprese rispetto a quello che accade invece nel paese per quanto riguarda i cittadini cinesi. Ed è questo, secondo me, il grosso problema.

Nella storia del giornalista Shi Tao, accusato di aver svelato un segreto di stato e condannato a 10 anni dal regime cinese, emerge anche la figura un “Giuda” molto particolare –una multinazionale californiana. Può spiegarci di chi si tratta e perché avrebbe agito così?
Shi Tao è stato condannato a 10 anni di prigione. E’ un giornalista di un quotidiano finanziario e aveva partecipato a una riunione nella quale il suo direttore lo informava del fatto che anche per quell’anno, il 2004, non si sarebbe dovuto assolutamente parlare di quanto era accaduto nel 1989 con la strage di piazza Tienanmen. In effetti bisogna tener conto che c’è tutta una nuova generazione di cinesi che non sa nulla di quanto è accaduto nel 1989: degli studenti in piazza, delle loro proteste, della loro richiesta di libertà, della repressione, delle uccisioni, degli arresti… Questi giovani di oggi non sanno assolutamente nulla perché la faccenda è stata totalmente rimossa da qualsiasi forma di comunicazione in Cina. Non ci sono notizie, nessuno ne deve parlare e quindi nessuno sa che questo è accaduto: è stato un evento totalmente rimosso.
Allora Shi Tao aveva ricevuto questa comunicazione -che anche nel 2004 veniva dato l’ordine che i giornali non parlassero della strage- e quindi anonimamente aveva mandato una mail ad un amico che viveva negli Stati Uniti per informarlo che ancora una volta c’era questo divieto. Le autorità cinesi quando hanno visto la notizia pubblicata su un sito americano hanno ricostruito il percorso della mail –sono bravissimi dal punto di vista del controllo tecnologico- e sono risaliti all’indirizzo da cui la mail era partita in Cina –un indirizzo che aveva come riferimento Yahoo.cn (ovvero Cina). A quel punto per capire chi era la persona fisica che aveva mandato la mail hanno chiesto a Yahoo di avere gli estremi dell’indirizzo Ip del computer da cui era partita la mail. E Yahoo, multinazionale americana, californiana, moderna, giovanile, simpatica etc.., non ha fatto altro che dare alle autorità cinesi tutti gli strumenti per individuare la figura di Shi Tao che è stato arrestato e successivamente condannato a 10 anni, ben 10 –starà in prigione fino al 2014!- per aver diffuso all’estero “segreti di Stato”.
Questa è l’enormità di cui tutti dovremmo essere informati.

Anche questo dimostra come la tecnologia di oggi, in costante evoluzione, sia una medaglia a due facce: da una parte migliora la qualità dei contenuti e delle comunicazioni, ma dall’altra anche le forme di controllo e di filtraggio. Il rapporto curato da “Reporters sans frontiers” spiega in che modo il governo cinese controlla e filtra il web. “Una grande orchestra che suona un’unica musica” per usare la definizione presente nel suo libro. Ci può spiegare come agisce?
Noi abbiamo l’idea che Internet sia un territorio completamente libero, dove non si può assolutamente controllare nulla, ma non è così. Ci dovrebbe invece interessare il problema dei luoghi dove Internet è controllata perché alla fine questo potrebbe accadere anche da noi, seppure in condizioni e forme diverse.
In Cina il regime è assolutamente vecchio dal punto di vista dell’autoritarismo e delle tecniche di controllo tipiche della tradizione comunista, ma dal 2005 è molto moderno per quanto riguarda la sua capacità di utilizzo degli strumenti tecnologici. Le autorità si sono servite di Internet in questi anni per sviluppare le attività commerciali, per l’intrattenimento e per tutte le cose che sono di supporto allo sviluppo economico di una società moderna. Però è chiaro che la Rete non doveva essere un luogo dove transitavano contenuti scomodi: per evitare questo, hanno messo in piedi con decine di miliardi di euro di investimento un apparato di 50mila persone e 5 organi di Stato incaricati di svolgere funzioni di controllo e monitoraggio di quello che accade nel Web. Sono riuscite a creare una barriera intorno alla Cina, chiamata Grande Firewall, “grande muro di fuoco” anzi, visto che parliamo di Cina “grande muraglia tecnologica” grazie alla quale sono in grado di oscurare i siti scomodi che mandano contenuti dall’esterno. In più conoscono tutta una serie di tecniche per controllare il traffico interno ovvero i messaggi, come vengono mandati, le pagine, da chi vengono scritte, che contenuti ospitano etc… E sono in grado di monitorare tutto questo grazie alle tecniche di tracciabilità.
Pensare di godere dell’anonimato mentre si naviga in Internet è infatti una sciocchezza: quando ci colleghiamo alla rete abbiamo sempre un indirizzo Ip di riferimento. Se dall’altra parte poi c’è qualcuno che è in grado di cogliere i nostri movimenti e di metterci sotto controllo, a questo punto tutto quello che noi facciamo è osservabile. Chiaramente in Cina si viene continuamente controllati, mentre noi potremmo essere solo “utilizzati”per scopi di tracciamento pubblicitario o di altro genere. La questione quindi è estremamente delicata. La Cina possiede un apparato modernissimo e pericoloso di repressione e controllo della rete.

Sarà quindi possibile usare il Web come campo di battaglia per le “Olimpiadi dei diritti umani”?
Io credo che esistano due diverse logiche. Da una parte c’è la logica –che è quella delle autorità cinesi- per la quale la globalizzazione riguarda i governi -un affare interno per il quale devono avere voce soltanto i governi, soltanto le grandi aziende, soltanto i grandi apparati, soltanto le strutture di comando- una globalizzazione che piace anche a molte aziende occidentali. Dall’altra parte c’è un’altra idea di globalizzazione che esiste proprio grazie alla Rete -che pure è controllabile ma che ha in sé comunque una grande forza libertaria. Infatti su Internet si possono mettere ovunque i propri contenuti. La Rete in questo senso rappresenta lo strumento fisico nel quale cresce un’opinione pubblica mondiale. Il fine è questo: grazie a Internet possiamo sentirci sempre più cittadini del mondo e operare da noi come altrove per reclamare il rispetto dei diritti quando questi vengano colpiti e minacciati. E l’idea di opinione pubblica mondiale fa molta paura alle autorità cinesi che pure non la capiscono bene…Infatti loro usano spesso una risposta, quando qualcuno fa osservazioni o critiche, tipo “Questo è un affare interno”. E invece no, la logica non è più quella dell’affare interno, perché se sei un mercato internazionale, se tu vuoi esportare merci in tutto il mondo allora ti devi comportare come il mondo. Il problema è che la globalizzazione è intesa unicamente come globalizzazione delle merci e poi quando ci sono di mezzo le persone, i loro diritti e il loro modo di vivere, la questione si ferma. Lo so, è ambizioso e difficile, ma oggi come oggi bisognerebbe avere invece la capacità di intervenire, quantomeno di premere affinché qualcosa cambi.

Nella parte conclusiva del libro lei fa un tracciato della situazione attuale in Cina: paese che si definisce comunista dove però non c’è spazio per la solidarietà e non esistono molte forme di libertà. Quindi…riallacciandosi al discorso di prima, come potrebbe eventualmente la libertà di espressione risolvere o sanare questa situazione?
Ribadisco che non sono un sinologo o un esperto sulla Cina, studio semplicemente la comunicazione della rete e mi occupo di libertà di espressione. Per questo mi sono interessato a questo “volto nascosto” dei giochi. Il problema è che noi, anche in Italia, dovremmo veramente imparare ad abbandonare tutte le categorie tradizionali che abbiamo riguardo la Cina. E’ uno sforzo che andrebbe fatto perché se si ragiona in modo vecchio e, sia da sinistra che da destra, si dice “Quello è un paese comunista”oppure “E’ un paese autoritario” etc.. non si capisce quello che sta realmente avvenendo. Non si capisce la commistione che sta avvenendo tra l’attuale condizione sociale ereditata da un recente passato comunista e la crescita incontrollata di un’economia di mercato che crea un’enorme disuguaglianza sociale, tale che tutto viene fatto senza che ci sia alcun controllo democratico sulle decisioni che vengono prese. E mi riferisco a diversi fatti: al terremoto dove sono crollate tutte le scuole perché erano state realizzate male, al discorso dell’inquinamento, degli insediamenti, di migliaia e migliaia di morti sul lavoro, nelle miniere e nelle fabbriche -perché le condizioni di lavoro sono davvero infami. C’è un quadro della situazione sociale realmente pesantissimo e allarmante.
Allora proprio perché tutto questo non avviene in un piccolo paese, ma in quella che è la nazione che compete con gli Stati Uniti per la leadership del pianeta, bisognerebbe proprio ora, aprire gli occhi su questo e non usare più categorie tradizionali ereditate dal passato, ma capire che lì sta crescendo qualcosa di nuovo che in qualche modo va compreso, analizzato, letto. Questa sarebbe la cosa più giusta da fare in questo momento.

(intervista a cura di Francesca Mezzadri)
luglio 2008

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