“Chi salva una vita salva il mondo intero”

Intervista alla Fondazione Villa Emma

i ragazzi di villa emmaE’ scritto nel Talmud di Babilonia: “Chi salva una vita salva il mondo intero”. Oggi c’è chi penserebbe che non ne vale la pena. Che il rischio è troppo alto e che in una guerra la violenza non risparmia nessuno. Durante la Seconda Guerra Mondiale sono morti più di 5 milioni di ebrei. Ma la comunità di Nonantola, un piccolo paese in provincia di Reggio Emilia - la gente, il sindaco, il parroco- ne hanno salvati 72. 72 ragazzini ebrei provenienti dalla Germania, Austria e Jugoslavia che hanno trovato rifugio in quel paese a Villa Emma. Il numero non è paragonabile. Ma vuol dire molto.

La storia di Nonantola – La storia di Nonantola è uno degli esempi di aiuto e generosità degli italiani nei confronti degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale. Unico nel suo genere considerando che tutti gli abitanti sono stati coinvolti. E’ una bella storia che vale la pena raccontare. E ce la racconta Fausto Ciuffi, direttore della Fondazione Villa Emma –Ragazzi Ebrei Salvati- che si occupa non solo di salvaguardare la memoria storica di quell’evento, ma anche di promuovere iniziative culturali e corsi di formazione sulla pace e i diritti umani.
La storia ha inizio nel 1939 quando, con la Seconda guerra mondiale, in Germania e in Austria l’antisemitismo della dittatura nazista toccò il suo apice. Con la deportazione degli uomini nei campi di concentramento e più avanti anche delle donne, molti bambini si ritrovarono abbandonati e orfani già dai primi anni della guerra. E tra questi bambini abbandonati troviamo i protagonisti della nostra storia: 43 ragazzi e ragazze dai 6 ai 18 anni che, nell’aprile del 1941, guidati da 3 giovani sionisti e aiutati da associazioni ebree, riuscirono a fuggire da Berlino, Francoforte, Lipsia, Amburgo, Vienna e Graz e rifugiarsi nella Slovenia italiana in un castello. In Italia, le leggi razziali non erano ancora così forti, ma la frontiera per i profughi ebrei era comunque chiusa: nonostante ciò le autorità italiane, seppur fasciste, forse considerando che si trattava di ragazzi, fecero un’eccezione e li fecero entrare. Il soggiorno in Slovenia durò un anno: nel luglio del 1942 con la guerra partigiana e i combattimenti che si facevano sempre più frequenti in quella zona, la Delasem –l’organizzazione assistenziale degli ebrei in Italia che si occupava della situazione dei ragazzi tedeschi e austriaci- decise di trasferirli in Italia, a Nonantola, a Villa Emma, una grande casa di campagna con 46 stanze che venne affittata dall’associazione. Con il consenso del Ministero dell’Interno i ragazzi arrivarono con i loro accompagnatori a Nonantola, cittadina emiliana di circa 10.000 abitanti. Villa Emma, affittata dalla Delasem, inizialmente era spoglia, e durante i primi tempi i ragazzi dovettero dormire sulla paglia, ma ben presto con i loro lavori e con l’aiuto dei cittadini le cose si sistemarono. I ragazzi non stavano certo con le mani in mano: la mattina, seguiti non solo dalle loro guide, ma anche dai lavoratori del paese si dedicavano al terreno adiacente, o lavoravano in laboratori di falegnameria, mentre le ragazze si dedicavano alla pulizia e cura della casa o al cucito. Al pomeriggio si dedicavano alle lezioni scolastiche, mentre al sabato, unico giorno libero, spesso, anche se era proibito, molti di loro si recavano in città dove tutti più o meno li conoscevano. Ben presto arrivò un altro gruppo da Spalato: altri 33 ragazzi provenienti dalla Bosnia anch’essa devastata dall’occupazione tedesca.

Via da Nonantola- E così 73 ragazzi, e 18 adulti tra cui professori e medici, hanno vissuto per un anno a Villa Emma, circondati da una comunità che non li ha isolati o emarginati, al contrario li ha accolti nonostante il pericolo che tutti sapevano di correre. Pericolo che si amplifica l’8 settembre del 1943 con la firma dell’armistizio con gli Alleati che lascia presagire un’imminente occupazione da parte dei tedeschi. Il medico del paese, Giuseppe Moreali, e il sacerdote, don Arrigo Beccari, non hanno esitazioni: i ragazzi se ne devono andare da Villa Emma. E l’intera comunità di Nonantola li accoglie. 30 ragazzi vengono ospitati nel seminario del paese, mentre gli altri nelle case dei contadini degli artigiani e dei commercianti di Nonantola. Rimasero lì per 5 settimane e le famiglie fecero finta di avere un figlio in più, anche quando nelle case irrompevano i tedeschi e la paura si faceva più forte.
Ma la situazione era precaria: i ragazzi erano in pericolo e dovevano andarsene. La Delasem pianificò una fuga in Svizzera e il comune di Nonatola rilasciò carte d’identità dove non fu apposta l’annotazione “appartenente alla razza ebraica “. Così passare il confine non fu affatto semplice ma perlomeno possibile e tutti i ragazzi con i loro accompagnatori raggiunsero la Svizzera dove vennero accolti dalle comunità ebraiche. In seguito, nel 1945, riuscirono a raggiungere la Palestina dove erano destinati.
Tutti i ragazzi si salvarono ad esclusione di uno: Salomon Papo di Sarajevo. Per problemi di salute da Nonantola venne trasferito in un paese sull’Appennino modenese e non riuscì a fuggire in Svizzera con gli altri. Venne catturato e deportato ad Auschwitz dove morì. E morì anche Goffredo Pacifici, una delle guide dei ragazzi.
Ma se ne salvarono 72, grazie all’atto di generosità di un paese intero.
Una bella storia dalla quale trarre esempio.

Il valore della diversità- Le foto scattate a Villa Emma che ci mostrano ragazzi sorridenti e felici mentre lavorano insieme, in giardino, a fianco dei contadini, o tutti davanti al portone di Villa Emma sono esposte alla mostra permanente di Nonantola, inaugurata nel 2001, mentre le foto tessera da apporre sui documenti di identità – i volti più o meno seri di bambini, ragazze more con i boccoli e ragazzi con un accenno di barba– le lettere, i documenti di identità: tutti questi ricordi e testimonianze sono stati conservati in archivi storici a Modena, e in Svizzera, e vengono raccolti per organizzare mostre itineranti dalla Fondazione.
La Fondazione, nata nel 2004 dal Comune di Nonantola e di Modena, dalla Provincia di Modena, della Parrocchia di Nonantola, dalla Comunità ebraica di Modena e Reggio Emilia, dalla Cooperativa Com Nuovi Tempi e dall’Istituto Storico di Modena, opera nei settori della ricerca storica in collaborazione anche con altre istituzioni italiane e straniere.
“Stiamo attenti a salvaguardare il passato, ma anche a proteggere il presente”spiega Fausto Ciuffi, il direttore.“Il vero obiettivo della Fondazione è quello di oltrepassare gli steccati della diversità”. Diversità: una parola che al giorno d’oggi viene temuta. Nessuno prova più curiosità per ciò che è diverso, al contrario diffidenza. Gli stranieri vengono accettati da una comunità solo se stanno a casa loro. Gli immigrati che sconfinano nei nostri paesi non sono sempre ben accetti. Per non parlare di quelli clandestini che sbarcano a Lampedusa, rischiando la vita, ma verso i quali proviamo pochissima pena, anzi, ci infastidisce che siano venuti qui a chiedere l’elemosina, o a rubarci il lavoro. Non se ne potevano stare a casa propria? No, evidentemente no, e la storia ce lo dovrebbe avere insegnato.

Le iniziative della Fondazione- La Fondazione cerca di recuperare e ridare valore all’interculturalità, non solo raccontando la storia di Nonantola, con la mostra, le foto e anche il film documentario girato da Aldo Zappalà, ma anche organizzando corsi di formazione e seminari. Come il corso “Strade del mondo” rivolto in prevalenza ai giovani e svolto sui luoghi di conflitto: il primo progetto pilota è stato fatto tra israeliani e palestinesi, il secondo in Bosnia, l’ultimo di quest’anno in Italia sulla questione dei sinti-rom. Un argomento difficile che verrà trattato in 3 giorni di seminari e laboratori davanti a un pubblico selezionato di 40/50 persone. Il prossimo anno invece il seminario assumerà più la forma del convegno e si concentrerà sul tema dei dopoguerra, momenti storici importanti e delicati per la ricostruzione di un nuovo futuro di pace e serenità.
Le iniziative culturali sono invece aperte al grande pubblico; storie come questa vanno raccontate con mostre, cataloghi e libri che vengono conservati dalla Fondazione e con il film “I ragazzi di Villa Emma” che gira per città d’Italia e festival, un documento importante che riassume la vicenda di Nonantola e raccoglie le testimonianze di alcuni sopravissuti, ancora grati agli abitanti del paese.
“Non dimentichiamolo: si è trattato di un’azione collettiva che ha coinvolto attivamente un’ottantina di persone, senza escludere neanche chi ha assistito passivamente –in questo caso aiutando- come ad esempio le autorità fasciste che hanno fatto finta di niente” spiega Ciuffi “Vorrei tuttavia sottolineare come la Fondazione porti avanti soprattutto la riflessione sul tempo presente”. Perché la Resistenza è anche un esempio di come gli italiani abbiano voluto e saputo affrontare le barbarie di una guerra senza senso. Di come abbiano detto “no” all’ingiustizia e all’intolleranza. Di come si siano ribellati a chi calpestava diritti e dignità umana. Di come abbiano salvato “un mondo”, salvando delle vite. Il mondo della pietas e della comprensione reciproca, il mondo della solidarietà, dove la generosità è un atto umano e normale.
E’ un mondo perduto? Per Natale, raccontiamo la storia di Nonantola e pensiamoci.

Francesca Mezzadri
dicembre 2008

 

Fondazione Villa Emma
Via Mavora, 39
41015 Nonantola - Modena
Telefono e fax: 059 547195
segreteria@fondazionevillaemma.org
www.fondazionevillaemma.org/

Azioni sul documento